21 aprile 2020 SENZA LASCIARE TRACCIA - METTI UNA SERA AL CINEMA - CGS DON BOSCO APS VERBANIA

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21 aprile 2020 SENZA LASCIARE TRACCIA

METTI UNA SERA AL CINEMA 31
SENZA LASCIARE TRACCIA
21 aprile 2020
Senza lasciare traccia ( Leave No Trace )  Regista: Debra Granik  Genere: Drammatico  Anno: 2018  Paese: USA  Durata: 108 min  Distribuzione: Adler Entertainment   Attori: Ben Foster, Thomasin McKenzie, Dale Dickey, Isaiah Stone, Dana Millican, Jeff Kober, Ayanna Berkshire Sceneggiatura: Debra Granik, Anne Rosellini  Fotografia: Michael McDonough Montaggio: Jane Rizzo  Musiche: Dickon Hinchliffe Produzione: BRON Studios, Harrison Productions, Topic Studios
Debra Granik è una regista unica nel panorama del cinema americano. Ogni film lo medita molti anni, portando avanti due tradizioni fondanti della cultura americana: quella della negazione delle storture della società che porta alla fuga verso la natura incontaminata e quella dell’indipendenza come modo di intendere la vita e i suoi ritmi. Nei suoi film non si ritrovano le ‘pose’ formali del cinema da Sundance, pur essendo nata professionalmente in quella realtà, ma una vera riflessione su un’America alternativa, diversa eppure fondante e sempre presente da quelle parti fin dall’arrivo dei pionieri.
Dopo aver lanciato Jennifer Lawrence con lo spietato Un gelido inverno, torna a concentrarsi sui legami famigliari fra persone che vivono oltre i margini, che li superano consapevolmente per esplorare quello che di solito è solo una macchia verde in una mappa. Will (Ben Foster) è un reduce di guerra che non tollera una vita in società e si è costruito una dimensione domestica in mezzo ai boschi di un parco dell’area di Portland insieme alla figlia adolescente Tom (Thomasin McKenzie). La routine consolidata ci suggerisce che vivono lì da alcuni anni, si sono dati delle abitudini tutte loro e delle regole in grado di farli muovere con velocità in caso di arrivo di agenti esterni. Un evento inatteso, però, li porterà all’attenzione dei servizi sociali che li porteranno in città ponendoli di fronte alla sfida di adattarsi alla nuova situazione. Saranno addomesticati da un telefonino, una televisione e un letto caldo?
Una tensione continua fra il senso di protezione di una comunità e l'incapacità di farne parte che caratterizza tutto Senza lasciare traccia, delineando una potenziale linea di frattura nel granitico guscio protettivo costituito da padre e figlia. Will agisce per reazione a quello che ha vissuto, il trauma che l’ha colpito lo spinge verso una negazione di quella società capace di generare una guerra, quando Tom si trova nella fase della scoperta, in cui si deve mettere in gioco nei confronti di se stessa e in rapporto agli altri, anche forzando il legame così stretto con il nido, con il padre. La Granik sembra concedere una soluzione di compromesso ai due, l’incontro con qualche marginalità non troppo dissimile alla loro, che vive nello stesso habitat senza rinunciando a qualche comodità della società dei consumi; “sono come noi”, dice disperatamente Tom per convincere il padre a non rimettersi in marcia ancora una volta.
Un punto di vista inedito per raccontare il rapporto fra un padre e una figlia, ma anche l’impossibilità di conciliare due fasi così diversi della vita di due persone, pur unite da un amore assoluto. Nel capovolgimento dei ruoli, Tom ha imparato a essere adulta, aiutando il padre vittima di una fragilità dovuta alla sindrome post traumatica da stress; è lei a cercare una minima stabilità, mentre lui non riesce a trovare un senso alla sua vita se non nel prendere sempre la strada, che diventa più una prigione e una condanna che un moto di libertà, verso qualcosa che probabilmente non troverà mai. Il tutto sotto lo sguardo di una burocrazia che incombe, in un territorio capace di essere accogliente come respingente, in cui un breve viaggio in funivia permette di rendersi conto come tutto è molto più vicino di quanto possa apparire: i margini sono appena oltre un ponte da cui irrompe la società.
Ben Foster si conferma uno degli attori più talentuosi della sua generazione, seppure un po’ ai margini come Will, mentre Thomasin McKenzie minaccia seriamente di essere la nuova scoperta della Granik, capace di trasmettere tenacia e grande fragilità nella stessa inquadratura. Senza lasciare traccia fa fede al suo titolo nell’evitare ogni sensazionalismo, ogni alzata di toni, conducendoci con occhio partecipe in un’altra America, in un modo di intendere la vita diverso e non esibito, con sensibilità rara e la capacità di colpirci al cuore con la sola purezza dei suoi due protagonisti.  Mauro Donzelli
Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l'inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo”.
Può sembrare forse esagerato chiamare in causa La strada di Cormac McCarthy per Senza lasciare traccia di Debra Granik. Eppure il paragone azzardato è funzionale a descrivere la situazione da cui prende il via il nuovo film della regista di Un gelido inverno: una ragazza adolescente e suo padre vivono un’esistenza ai margini, nascosti da anni in un grande bosco che costeggia la città di Portland. Passano le loro giornate a mimetizzarsi per non farsi vedere da altre persone, provano a vivere in simbiosi con la natura, ricercano l’indipendenza assoluta da qualsiasi comunità. È chiaro che rispetto al capolavoro di McCarthy, qui non c’è nulla di post apocalittico, non ci sono predatori né minacce costanti. Il concetto di sopravvivenza non è in questo caso una forzatura, ma una scelta. Però sembra altrettanto vero che la tensione e lo spirito con cui padre e figlia vivono il loro bisogno di isolamento totale sia raccontato dalla regista con quella stessa disillusione e quello stesso senso di sconfitta.
Non esistono minacce con un volto, non ci sono antagonisti in carne ed ossa; in Senza lasciare traccia il pericolo è qualcosa di invisibile agli occhi: sono le pressioni della conformità sociale, di quelle regole burocratiche che risucchiano in maniera automatica qualsiasi persona; anche chi, a quelle leggi decide pacificamente di non sottostare. Debra Granik racconta con stile semplice la storia di persone che cercano di vivere una vita a modo loro, andando controcorrente e rovesciando in un certo senso le regole della società. Lo fa senza voler giudicare niente e nessuno, partendo da un nucleo familiare ridotto all’osso e inserito in una situazione limite, che segue con uno sguardo quasi documentaristico; una scelta che le permette di mettere in luce prima di tutto la fragilità di un padre che vorrebbe semplicemente proteggere la propria figlia da ogni forma di male e che a un certo punto si ritrova a dover fronteggiare l’impossibilità di poter portare avanti la sua idea di mondo.
Costretti infatti a lasciare il parco per essere affidati agli agenti dei servizi sociali, padre e figlia proveranno ad adattarsi alla nuova situazione senza però mai riuscire a sentirsi veramente a casa. E così saranno portati a una nuova fuga, a una nuova ricerca di isolamento e indipendenza totali. Ma soprattutto saranno costretti a misurarsi per la prima volta con un sistema sociale consolidato, con delle regole e delle personalità inedite per loro. Novità che spingeranno la ragazza a desiderare qualcosa mai provato prima, ad entrare a far parte di una comunità di persone diverse, ad espandere e saziare le proprie curiosità.
In questo senso, Senza lasciare traccia si trasforma pian piano dall’essere una riflessione sulle comunità (auto)escluse dal sogno americano, al racconto di un puro e semplice rito di passaggio, in cui una ragazza che ha sempre avuto il padre come unico punto di riferimento e fonte di ogni conoscenza e la natura a scandire il ritmo della propria vita, si ritrova a scoprire che in effetti esiste anche dell’altro, esistono altri stimoli, idee e possibili modelli di mondo e vita. E dall’altra parte c’è un padre, che da sempre ha voluto insegnare alla figlia ciò che riteneva essere giusto e ciò che invece pensava fosse sbagliato e che nel giro di pochissimo tempo deve metabolizzare il fatto che a lei, tutto questo, ormai non basta più; e che nonostante lui non sia per nulla intenzionato ad abbandonare il proprio stile di vita, deve accettare che è arrivato il momento di mettersi da parte e lasciare andare via la figlia in totale libertà, possibilmente senza lasciare traccia.  Francesco Ruzzier

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