29 ottobre 2019 STANLIO E OLLIO
METTI UNA SERA AL CINEMA 31
						STANLIO & OLLIO
STAN & OLLIE
Regia: John
						S. Baird
Interpreti: Steve Coogan (Stan Laurel), John C. Reilly (Oliver
						Hardy), Shirley Henderson (Lucille Hardy), Nina Arianda (Ida Kitaeva Laurel),
						Danny Huston (Hal Roach), Rufs Jones (Bernard Delfont), Susy Kane (Cynthia
						Clark)
Genere: Commedia (biopic) – Origine: USA, Regno Unito, Canada – Anno:
						2018 – Soggetto: A. J. Marriot – Sceneggiatura: Jeff Pope -  Fotografia: Laurie Rose – Musica:
						Rolfe Kent – Montaggio: Una Ni Dhonghaile, Billy Sneddon – Durata:
						98' – Produzione: Faye Ward, Sonesta Film, Fable Pictures – Distribuzione:
						Lucky Red (2019)
Stan
						Laurel e Oliver Hardy, alias Stanlio e Ollio, i due comici più amati al mondo,
						partono per una tournée teatrale nell’Inghilterra del 1953. Finita l’epoca
						d’oro che li ha visti re della comicità, vanno incontro a un futuro incerto. Il
						pubblico delle esibizioni è tristemente esiguo, ma i due sanno ancora
						divertirsi insieme, l’incanto della loro arte continua a risplendere nelle
						risate degli spettatori, e così rinasce il legame con schiere di fan adoranti.
						Il tour si rivela un successo, ma Laurel e Hardy non riescono a staccarsi
						dall’ombra dei loro personaggi, e fantasmi da tempo sepolti, uniti alla
						delicata salute di Oliver, minacciano il loro sodalizio. I due, vicini al loro
						canto del cigno, riscopriranno l’importanza della loro amicizia.
Stanlio & Ollio inizia nel backstage del set di I fanciulli del West. I due
						attori stanno preparandosi a un ciak e discutono animatamente del loro futuro: Laurel è ormai stufo
						delle costrizioni artistiche a cui li sottopone il loro storico produttore, Hal
						Roach, mentre Hardy cerca
						di mediare, essendo consapevole delle clausole contrattuali e caratterialmente
						refrattario allo scontro. Il dialogo è descritto con un lungo carrello che li porta
						in scena dove, quasi senza soluzione di continuità, i due iniziano a recitare.
Sin dal
						prologo, il film di Jon
						S. Baird lavora sull’assenza di distinzione tra vita e copione, sulla
						duplicità dei caratteri e sulla conflittuale complementarietà che ha accompagnato
						esistenza e carriera di Laurel e Hardy. I due non potrebbero essere più
						diversi: Laurel è nervoso, introverso, ossessionato da un riconoscimento
						professionale a cui aspira con disperato furore, Hardy è allegro, empatico,
						dedito alle passioni terrene (amicizie, hobby, amori) più che al sacro fuoco
						dell’arte. Il film, dopo averceli mostrati nel pieno del successo, fa quindi un
						salto in avanti e ci porta nel 1953, anno in cui, passati i fasti
						cinematografici degli studios hollywoodiani,
						Laurel e Hardy si imbarcano in una tournée nel Regno Unito, segnata da alberghi
						tristi, teatri inizialmente semivuoti e una dose massiccia di rivendicazioni e
						rimpianti. Stan porta nel cuore ancora le ferite di ciò che lui considera un
						tradimento (la decisione di Hardy di girare un film senza di lui: Zenobia, con Harry Langdon); Ollie è
						ormai stufo dei capricci e delle ambizioni dell’amico e deve controllare uno
						stato di salute che inizia a fare le bizze. Quando le due mogli li raggiungono
						in tour,
						raddoppiando le ragioni e i torti dei loro compagni, il fantasma di un
						possibile scontro si concretizza implacabile.
Il film si fa
						quindi storia malinconica,
						sciorina in tre atti il percorso di un’amicizia come fosse quello di una storia
						d’amore senza tempo (il riavvicinamento, il conflitto, la pacificazione
						catartica), nasconde la messa in scena per regalare il palco ai magnifici
						protagonisti. Perché Stanlio
						& Ollio è principalmente un tour de force mimetico dei suoi
						interpreti: John C.
						Reilly, nascosto ma non frenato dal costume che lo rende obeso,
						regala una tenerezza sfrontata al suo Ollio, mentre lo Stanlio di Steve Coogan è intriso
						di un cinismo amaro e di una disillusione feroce. L’impatto mimetico informa e
						definisce il film, ne detta tempi e toni – che Baird governa con scoperta
						semplicità, chiamando a comando risate e lacrime – in una messa in scena
						semplice e languidamente pop. Così i due “vecchietti irresistibili” si trovano
						a riportare in vita la magia dei loro vecchi numeri di fronte a un pubblico che
						li venera senza conoscerli, a un cinema che gli ha dato la fama ma che forse
						non li merita (e che è diventato “piccolo”, come diceva Norma Desmond/Gloria Swanson in Viale del tramonto). Il cuore
						del film, altrimenti fin troppo lineare nella sua prevedibile parabola, è
						quindi il rapporto tra i
						due attori e la loro parabola artistica, le loro differenze
						caratteriali smussate da un affetto pudico e mai dichiarato, la loro capacità
						di essere, sempre e comunque, al centro di un palcoscenico, come mostra la
						scena migliore del film in cui i due litigano durante un party in loro onore,
						popolato di una nobiltà vetusta e distante che inizia a fissarli, e finiscono
						per attirare magneticamente, come sulle assi di un teatro, l’attenzione di un
						qualsiasi pubblico.
CINEFORUM – 30.04.19 - Federico Pedroni
Stan Laurel e Oliver Hardy stanno
						ballando. Sullo sfondo un paesaggio western. I teatri di posa. La macchina da
						presa. Stacco. Sullo schermo il pubblico impazzisce. Il film è I fanciulli del West. L’anno è il 1937, l’apice della
						loro popolarità. Passano 16 anni. Il duo
						comico si trova in Inghilterra per una tournée. Sognano il grande rientro.
						Anche al cinema con un film su Robin Hood. Ma i giovani a stento li
						riconoscono. E i teatri non si riempiono. Dopo alcuni spot, ricominciano ad avere
						successo. Ma il loro sodalizio non sembra più quello di una volta. E a tratti
						tornano a galla vecchi rancori. 
Stanlio e Ollio è un biopic esemplare, un viale
						del tramonto appassionato e un omaggio alla loro arte comica. Del resto Baird,
						al terzo lungometraggio, ha sempre portato sullo schermo storie vere come
						quelle di Cass (un
						uomo di origine giamaicana  diventano uno degli uomini inglesi più
						rispettati) e Filth
						(sull’avido e corrotto agente di polizia interpretato da James McAvoy). Stanlio e Ollio è minuzioso per
						come ricostruisce il metodo delle gag. Dove uno la creava e l’altro la
						continuava. Poi i ruoli si scambiavano. E poi entravano in gioco gli oggetti. E
						lo spazio della comicità usciva fuori dal set, dal teatro. E continuava nella
						vita reale. A volte era ricostruito, come la scena dell’arrivo delle rispettive
						mogli in Gran Bretagna. Altre invece veniva improvvisato, come il gioco sul
						campanello della reception della locanda dove alloggiavano.
Sembra esserci
						sempre un numero per i presenti. Anche nei momenti più drammatici: Hardy che
						butta con rabbia un giornale dopo che scopre di aver perso ai cavalli e delle
						bambine lo guardano; i due che litigano durante un ricevimento e alcuni dei
						presenti, prima sfocati sullo sfondo, assistono divertiti pensando che si
						tratti di un loro sketch.
Non si sentono le ceneri del
						tempo sul film. E Baird, rispetto ad Attenborough di Charlot (che resta
						comunque un buon film), non si spaventa nel ricreare un pezzo dell’esistenza di
						Laurel & Hardy. Ciò avviene anche grazie
						al perfetto lavoro di make-up e alla bravura di John C. Reilly e Steve Coogan, che si sono calati completamente nella
						parte, soprattutto fisicamente. Tanto che si riconoscono a fatica i loro volti,
						soprattutto nel caso del primo. E dopo un po’, ci si lascia andare pensando di
						vedere sullo schermo i veri Stanlio e Ollio. C’è la scena. La capacità di
						improvvisazione ma soprattutto anche la scrittura attenta di Laurel, che
						continuerà a scrivere le gag per Hardy anche dopo la sua morte. E che ha
						costituito un modello per Jerry
						Lewis che gli sottoponeva le sue sceneggiature, lo ha tentato
						invano di convincerlo a tornare sul set e con il suo primo film come regista, Ragazzo tuttofare, gli ha
						dedicato un personale atto d’amore. 
Il ballo è a tratti irresistibile. Le gag dell’ospedale e dell’uovo e del binario dove i due entrano
						ed escono senza incrociarsi mai. E riprodurre fedelmente, ed efficacemente, la
						complessità di quei mvimenti comici, è stata già un’impresa non da poco. Ma il ballo diventa anche malinconico e a tratti
						struggente. La voglia di ritrovare il successo di un tempo.
						L’incapacità di stare l’uno senza l’altro soprattutto per Stan che non riuscirà
						a dividersi la scena con un altro partner quando Oliver è malato. Al tempo
						stesso però gli rinfaccerà il film che ha girato da solo senza di lui con
						l’elefante, Zenobia,
						mentre lui aveva rotto con il produttore Hal Roach.
Stanlio e Ollio è l’esempio di come un
						biopic va fatto. Con documentazione, precisione e passione. E per i due
						protagonisti è forse il ruolo della vita.
SENTIERI
						SELVAGGI – 01.05.19 – Simone Emiliani
 
 
 
 
