19 novembre 2019 L'INGREDIENTE SEGRETO
METTI UNA SERA AL CINEMA 31
L’ingrediente segreto Regia: Gjorce
Stavreski Titolo originale: Iscelitel
Interpreti: Blagoj Veselinov, Anastas Tanovski, Aksel Mehmet, Aleksandar Mikic, Miroslav Petkovic, Dime Iliev, Simona Dimkovska Distribuzione: Lab80 Durata: 104
Origine: Macedonia, Grecia, 2017
Interpreti: Blagoj Veselinov, Anastas Tanovski, Aksel Mehmet, Aleksandar Mikic, Miroslav Petkovic, Dime Iliev, Simona Dimkovska Distribuzione: Lab80 Durata: 104
Origine: Macedonia, Grecia, 2017
Se una
lezione dobbiamo assimilare dal cinema balcanico è quella del sapiente dosaggio
di elementi drammatici e se non comici, sicuramente, ironici e brillanti che
caratterizzano, ormai da tempo, forse in realtà da sempre, quella composita
cultura stretta come è tra una tradizione antica che proviene dall’est, che gli
conferisce quel tanto di pensoso e drammatico e una propria tradizione che si
esprime attraverso una forte carica ironica alla quale non è estranea la
radicata tradizione rom.
Il cinema che ci è arrivato da quei luoghi a cominciare da quello di Kusturica, per finire a quello di Paskaljević (tanto per citare due autori vicini, ma ormai non più giovanissimi), si dibatte tra queste due anime e così anche i film più recentemente usciti in sala a cui Lab80 sta dedicando grande attenzione, non si discostano da queste caratteristiche, anzi sembrano affinarle, convalidando l’ipotesi di una specie di evoluzione divenuta forma congenita dell’espressività di quelle culture che, nonostante la vicinanza geografica, sono discretamente distanti dalla nostra. Titoli recenti come Cure a domicilio, The Constitution e se ci aggiungessimo Mózes il pesce e la colomba che è ungherese, ma l’aria che si respira è la medesima, avremmo un piccolo quadro d’insieme di una area cinematografica che utilizza le stesse voci espressive e si avvale di una attenta e quasi naturale lettura della realtà. L’ingrediente segreto del macedone Gjorce Stavreski, vincitore della scorsa edizione del Bergamo Film Meeting, non si discosta da questa natura e allunga la lista di quei titoli che profilano l’animo balcanico che, con le dovute differenze, resta pur sempre riconoscibile possedendo da nord a sud tratti comuni e forme espressive immediatamente identificabili.
Il film di Stavreski, in questa prospettiva, tutta esclusiva, poiché vero e proprio marchio di fabbrica con una netta denominazione d’origine, scorre con leggero e pensoso understatement proprio nel formidabile equilibrio tra dramma e commedia, tra lettura di una difficile realtà sociale ed una istintiva ricerca di una chiave interpretativa che, nel superare l’ostacolo, sa farlo attraverso l’uso di divertita ironia che si rivolge essenzialmente su se stessi nella certezza che ciò che non uccide rafforza. È lo stesso regista che sottolinea il disagio del suo Paese causato da un neoliberismo incontrollato, ricordando che l’unico antidoto a queste avversità fu l’umorismo, che insegnò alla gente a ridere delle proprie disgrazie. Vele è un operaio e il suo stipendio non può bastare per pagare le medicine per curare il padre malato. Il lavoro lo porta a ritrovare un pacco di marijuana che la polizia e i trafficanti cercano. Informatosi delle potenzialità lenitive dei dolori della cannabis comincia da utilizzarla facendone dei dolci destinati al padre. L’effetto è quasi miracoloso, ma la sua vita si complicherà non poco. La vicenda però gli farà ritrovare il rapporto con il padre compromesso ormai da tempo. Difficile definire il genere di appartenenza di un film come L’ingrediente segreto. È proprio il dosaggio, quasi da chimica gastronomica, tra gli elementi di un dramma che per lo più affonda le proprie radici dentro una evidente difficoltà sociale che sembra non fare distinzioni di classe o di genere e la soluzione che di volta in volta si sperimenta, a dare vita ad un originale tessuto narrativo che, lungi dal diventare in questo modo incerto, si rafforza proprio grazie alle sue peculiari caratteristiche. In altre parole, così come era accaduto per altri film (quelli prima citati sicuramente tutti), il cinema balcanico ci induce ad una nuova prospettiva di sguardo, ad una più filosoficamente, intesa, semplicità narrativa che presuppone, necessariamente, e in primo luogo, una condizione umana e collettiva che la renda credibile, pretende, inoltre una semplificazione della scrittura, percorso mai semplice, con personaggi immediatamente riconoscibili che facciano a meno di ogni eccessivo spessore psicologico, ma siano rapidamente definiti e definibili e, al contempo, anch’essi plausibili e infine chiede uno sguardo attento e mai distratto su quel realismo minimale che ci circonda, quell’accadere giornaliero che diventa sinossi e sintesi di una verità che si ripete giorno dopo giorno. Attribuirgli efficacia narrativa commisurandola con i mezzi disponibili, sarà compito degli autori e del lavoro di elaborazione che il cinema richiede. L’ingrediente segreto possiede questi elementi e li fa fruttare, li metabolizza tutti in una più che riuscita forma narrativa di straordinario equilibrio. Si pensi alla capacità di restituire la misura del dramma esistenziale di Vele che si sente rifiutato dal padre dopo la morte violenta del fratello intellettualmente più dotato di lui. Eppure anche questo dramma, che diventa centrale nel rapporto padre/figlio e che sembra espandersi fino a diventare il tema cruciale della loro relazione, è affrontato con una magistrale sintesi, poche battute, pochi sguardi, poche sequenze, ma sembra pesare come un macigno inamovibile. In quest’ottica va guardato il finale, perfettamente congruo rispetto allo sviluppo del racconto, che rispetta, ancora una volta, quell’equilibrio istintivo tra dimensione quotidiana degli eventi e quindi volta a restituire il lato più drammatico della vita e il suo immediato ripiegamento verso una non gratuita bonaria soluzione, che diventa anche traduzione di un forte, benché imprevedibile, senso di una comunanza di intenti che sembra scavalcare ogni cattiveria da malvivente.
Staverski ci invita, con sottile o più evidente ironia che domina le sue immagini e la sua scrittura, ad un gentile quanto praticabile ottimismo e lo fa con una pacificazione dello sguardo che esprime attraverso la spontanea adesione ad una umanità che ha saputo tirare fuori dalla sua storia, aiutandoci a sorridere del dramma e delle quotidiane fatiche che sperimentiamo. Tonino De Pace
Il cinema che ci è arrivato da quei luoghi a cominciare da quello di Kusturica, per finire a quello di Paskaljević (tanto per citare due autori vicini, ma ormai non più giovanissimi), si dibatte tra queste due anime e così anche i film più recentemente usciti in sala a cui Lab80 sta dedicando grande attenzione, non si discostano da queste caratteristiche, anzi sembrano affinarle, convalidando l’ipotesi di una specie di evoluzione divenuta forma congenita dell’espressività di quelle culture che, nonostante la vicinanza geografica, sono discretamente distanti dalla nostra. Titoli recenti come Cure a domicilio, The Constitution e se ci aggiungessimo Mózes il pesce e la colomba che è ungherese, ma l’aria che si respira è la medesima, avremmo un piccolo quadro d’insieme di una area cinematografica che utilizza le stesse voci espressive e si avvale di una attenta e quasi naturale lettura della realtà. L’ingrediente segreto del macedone Gjorce Stavreski, vincitore della scorsa edizione del Bergamo Film Meeting, non si discosta da questa natura e allunga la lista di quei titoli che profilano l’animo balcanico che, con le dovute differenze, resta pur sempre riconoscibile possedendo da nord a sud tratti comuni e forme espressive immediatamente identificabili.
Il film di Stavreski, in questa prospettiva, tutta esclusiva, poiché vero e proprio marchio di fabbrica con una netta denominazione d’origine, scorre con leggero e pensoso understatement proprio nel formidabile equilibrio tra dramma e commedia, tra lettura di una difficile realtà sociale ed una istintiva ricerca di una chiave interpretativa che, nel superare l’ostacolo, sa farlo attraverso l’uso di divertita ironia che si rivolge essenzialmente su se stessi nella certezza che ciò che non uccide rafforza. È lo stesso regista che sottolinea il disagio del suo Paese causato da un neoliberismo incontrollato, ricordando che l’unico antidoto a queste avversità fu l’umorismo, che insegnò alla gente a ridere delle proprie disgrazie. Vele è un operaio e il suo stipendio non può bastare per pagare le medicine per curare il padre malato. Il lavoro lo porta a ritrovare un pacco di marijuana che la polizia e i trafficanti cercano. Informatosi delle potenzialità lenitive dei dolori della cannabis comincia da utilizzarla facendone dei dolci destinati al padre. L’effetto è quasi miracoloso, ma la sua vita si complicherà non poco. La vicenda però gli farà ritrovare il rapporto con il padre compromesso ormai da tempo. Difficile definire il genere di appartenenza di un film come L’ingrediente segreto. È proprio il dosaggio, quasi da chimica gastronomica, tra gli elementi di un dramma che per lo più affonda le proprie radici dentro una evidente difficoltà sociale che sembra non fare distinzioni di classe o di genere e la soluzione che di volta in volta si sperimenta, a dare vita ad un originale tessuto narrativo che, lungi dal diventare in questo modo incerto, si rafforza proprio grazie alle sue peculiari caratteristiche. In altre parole, così come era accaduto per altri film (quelli prima citati sicuramente tutti), il cinema balcanico ci induce ad una nuova prospettiva di sguardo, ad una più filosoficamente, intesa, semplicità narrativa che presuppone, necessariamente, e in primo luogo, una condizione umana e collettiva che la renda credibile, pretende, inoltre una semplificazione della scrittura, percorso mai semplice, con personaggi immediatamente riconoscibili che facciano a meno di ogni eccessivo spessore psicologico, ma siano rapidamente definiti e definibili e, al contempo, anch’essi plausibili e infine chiede uno sguardo attento e mai distratto su quel realismo minimale che ci circonda, quell’accadere giornaliero che diventa sinossi e sintesi di una verità che si ripete giorno dopo giorno. Attribuirgli efficacia narrativa commisurandola con i mezzi disponibili, sarà compito degli autori e del lavoro di elaborazione che il cinema richiede. L’ingrediente segreto possiede questi elementi e li fa fruttare, li metabolizza tutti in una più che riuscita forma narrativa di straordinario equilibrio. Si pensi alla capacità di restituire la misura del dramma esistenziale di Vele che si sente rifiutato dal padre dopo la morte violenta del fratello intellettualmente più dotato di lui. Eppure anche questo dramma, che diventa centrale nel rapporto padre/figlio e che sembra espandersi fino a diventare il tema cruciale della loro relazione, è affrontato con una magistrale sintesi, poche battute, pochi sguardi, poche sequenze, ma sembra pesare come un macigno inamovibile. In quest’ottica va guardato il finale, perfettamente congruo rispetto allo sviluppo del racconto, che rispetta, ancora una volta, quell’equilibrio istintivo tra dimensione quotidiana degli eventi e quindi volta a restituire il lato più drammatico della vita e il suo immediato ripiegamento verso una non gratuita bonaria soluzione, che diventa anche traduzione di un forte, benché imprevedibile, senso di una comunanza di intenti che sembra scavalcare ogni cattiveria da malvivente.
Staverski ci invita, con sottile o più evidente ironia che domina le sue immagini e la sua scrittura, ad un gentile quanto praticabile ottimismo e lo fa con una pacificazione dello sguardo che esprime attraverso la spontanea adesione ad una umanità che ha saputo tirare fuori dalla sua storia, aiutandoci a sorridere del dramma e delle quotidiane fatiche che sperimentiamo. Tonino De Pace
La sfida cui
si è sottoposto Gjorce Stavreski alla sua opera prima di finzione è alquanto
ambiziosa: raccontare in maniera credibile e intensa la drammatica vita di un
trentenne che vive a Skopje sullo sfondo della crisi economico-sociale macedone
ma con un approccio di fondo leggero, ricorrendo spesso e volentieri alle armi
dell'ironia e della comicità. Il rischio evidente era quello di proporre un film
sbilanciato e poco incisivo. Eppure il regista e sceneggiatore quarantunenne ne
L'ingrediente segreto, nonostante la poca esperienza in campo cinematografico,
sorprende per la capacità di trovare il giusto equilibrio tra i diversi toni e
registri narrativi, realizzando un esordio capace di fondere dramma, commedia e
critica sociale. Il protagonista Vele è un meccanico che, dopo aver perso in
passato la madre e il fratello a causa di un incidente stradale, si trova ad
affrontare la grave malattia del padre Sazdo, affetto da un cancro ai polmoni.
Vele non viene pagato da mesi e non può permettersi i costosi medicinali
prescritti al genitore, che non vengono coperti dallo Stato in seguito al
collasso del sistema sanitario. La situazione è tragica e apparentemente senza
sbocchi. La trama de L'ingrediente segreto cambia improvvisamente quando
il nostro protagonista, all'interno di un vagone portato dalla polizia nel
deposito ferroviario in cui lavora, trova un pacco contenente diverse sostanze
illecite, tra cui la marijuana. Allo scopo di provare ad alleviare i forti
dolori di Sazdo, Vele decide di appropriarsene furtivamente per preparare una
torta alla cannabis, ma a questo punto dovrà fronteggiare un ulteriore problema
non di poco conto: i proprietari del pacco determinati a rientrare in possesso
di ciò che gli è stato sottratto.
Un esordio riuscito, tra malinconia e divertimento Fin dall'esilarante sequenza d'apertura in cui Vele
(il convincente Blagoj
Veselinov) e il suo amico e collega Dzhem si
recano da un finto dottore che afferma di poter curare il cancro grazie a
recenti scoperte scientifiche sulle capacità mnemoniche dell'acqua, appare
evidente che assisteremo a un film il cui obiettivo è quello di affrontare temi
seri non rinunciando mai a quella vena lieve e scanzonata propria della
migliore commedia. Il regista Gjorce
Stavreski, anche autore unico della
sceneggiatura, è abile nel mettere immediatamente le cose in chiaro e nel corso
del film alterna in maniera felice momenti drammatici, malinconici e spassosi.
Presentato
con successo di critica e pubblico in diversi festival internazionali, L'ingrediente
segreto ha inoltre il pregio di proporre
un'interessante riflessione sulle difficoltà economiche e sociali attraversate
dalla Macedonia, un paese in stallo in cui, come dice Sazdo a Vele con
una certa rassegnazione verso la fine, "tutto finisce ancora prima di
cominciare". E in più è in grado di tratteggiare in profondità, anche
solo con pochi scambi di battute, le psicologie dei personaggi principali e i
rapporti che li legano, come avviene ad esempio nelle scene in cui il
protagonista si confronta con il padre o nella bella e concisa sequenza della
sera in cui Vele esce con l'ex ragazza Jana. Davvero niente male per un'opera
prima. Luca Ottocento